VIVERE SENZA LAVORARE o LAVORARE SENZA VIVERE?

È possibile vivere senza lavorare? Cosa si intende esattamente? Facciamo un po’ chiarezza e di storia.

Sin dai tempi antichi l’uomo non ha mai avuto bisogno di lavorare come lo intendiamo oggi comunemente. Aveva però, bisogno di vivere (sopravvivere nella sua eccezione del termine). Quindi cosa faceva? Andava a caccia, a pesca, coltivava il terreno, raccoglieva dalla terra i frutti, viveva di fatto in uno stato naturale della vita potendo contare sull’abbondanza che gli offriva la natura. Oggi, a parte qualche rara eccezione, l’uomo moderno, per vivere, deve andare a lavorare, ma in realtà, in senso lato, questa affermazione, che per vivere bisogna per forza lavorare, chiarendo che cosa intendiamo con il termine lavorare, in assoluto non può essere confermata. Non è una verità assoluta e viene spesso considerata una “utopia”.

Lo possiamo dire, magari parafrasando, ironizzando, ma presa veramente sul serio, questa affermazione è falsa.

NOI POSSIAMO VIVERE SENZA LAVORARE soltanto che abbiamo scordato come si faceva.

In molte regioni del pianeta terra esistono comunità, indigeni, antiche tribù che conservano ancora tradizioni grazie alle quali riescono a vivere senza dover lavorare, lo fanno, ma non nel modo in cui lo fa il mondo industrializzato. Ciò che bisogna spiegare per capire che è possibile vivere senza lavorare fa riferimento alla conoscenza che abbiamo della vita e dei suoi modelli o, di fatto, di quella conoscenza che non abbiamo più perché è andata perduta, di come, molti popoli, usavano e usano tutt’ora uno stile di vita basato sullo sfruttamento delle risorse naturali. Noi, nel frattempo, abbiamo perduto questa conoscenza quando non siamo stati più disposti a “sporcarci le mani”, ma di fatto è vero poter affermare che è possibile vivere senza lavorare.

Per capire in che modo dobbiamo comprendere se quello che facciamo che chiamiamo lavoro significa, veramente, lavorare. Oggi, rispetto al passato, le cose sono cambiate radicalmente. Sono molto differenti. A beneficiare di quelle risorse naturali che un tempo erano di nostro pubblico dominio, i nostri antenati tutti potevamo attingere alle risorse della natura, oggi sono diventati di proprietà privata di poche multinazionali. A controllare le risorse naturali ci sono aziende multinazionali e governi che hanno determinato una egemonia di controllo delle risorse del nostro pianeta e noi, se vogliamo averle, dobbiamo pagarle. Per pagarle dobbiamo avere il denaro, per avere il denaro siamo “obbligati” a lavorare ed è così che arriviamo ad affermare che per vivere devi lavorare. Quindi, l’idea abbiamo del lavoro, significa veramente “lavorare” ? Quello che facciamo può essere considerato un lavoro? Se non è questa l’idea che abbiamo del lavoro, qual è?

Di fatto, uno dei principali motivi che ci spinge ad andare al lavoro non è perché ci piace il nostro lavoro (bisognerebbe fare un censimento) ma quello di poter essere “pagati” di una moneta con la quale poter soddisfare i nostri bisogni. (Sempre se stiamo parlando di veri bisogni).

L’uomo moderno oggi è attaccato ad una macchina. Punto. I suoi bisogni non sono autentici. Punto.

Il concetto è piuttosto vasto e per tenere una traccia, un filo conduttore, che vi porti a comprendere meglio che non solo il lavoro che facciamo non è un vero lavoro (ovvio che non è per tutti così) è sufficiente pensare alle aziende del settore energetico elettrico, a quelle dell’acqua e della grande distribuzione alimentare. Poi potremmo aggiungere quello informatico tecnologico e medicale farmaceutico. Sono le tre principali macro aree che tengono l’uomo in vita.

L’essere umano, per via dell’industrializzazione, è diventata una macchina, ma direi anche a causa di una bramosia di potere esercitata prima dai più forti, poi dai più ricchi e infine dalle nazioni e dalle banche, hanno fatto si che l’uomo perdesse totalmente il proprio personale diritto di proprietà alla vita (alla sua in particolare) e alle risorse naturali. Siamo stati spogliati dei nostri diritti naturali. Non della dignità, quella è venuta subito dopo.

Il concetto che vado spiegando è semplice.

L’essere umano va considerato come un abitante, un cittadino, un essere vivente di questo pianeta. Come tale egli è un essere vivente “animale”, biologico organico, dotato di ragione e coscienza che vive in un ambiente di cui ne è parte integrante per diritto di natura perché nasce, vive e muore su questa terra e quindi, alla pari di tutti gli esseri viventi del mondo che non pagano per avere a disposizione le risorse che offre la natura, deve poter beneficiare delle stesse medesime condizioni e lo dovrebbe fare senza nessun “costo” aggiuntivo.

Questo concetto rientra in un ben più ampio aspetto di quello che prende il nome del “Diritto di natura”. Difendiamo ogni tipo di diritto umano, da oggi aggiungiamo anche questo.

L’energia è nostra, la terra è nostra, l’acqua è nostra, il mare è nostro, il sole è nostro, tutto è di tutti. Dato che purtroppo le cose oggi non vanno in questa direzione, l’uomo per avere ciò che gli è di proprietà di diritto, paga e va a lavorare? Questa è da considerarsi la più subdola forma di dittatura democratica mai esistita. Accettiamo lo stato di schiavitù perché non abbiamo ancora affrontato le nostre paure.

Cosa c’entra la paura? È la più potente forma di controllo esercitata da chi detiene il potere. Rispetto al passato le cose non sono cambiate poi così tanto. Ricordate gli schiavi nei campi di cotone? Quelli che costruivano le piramidi? Quei bambini che ogni giorno, ancora adesso, vengo sfruttati per fabbricare un pallone da calcio o un paio di scarpe? La differenza non è molta. In ognuno di questi esempi, ma potrei citare anche l’ultimo film della saga “Il pianeta delle scimmie – The war”, esiste il DIRITTO ALLA VITA, DIRITTO ALLA VERITÀ E IL DIRITTO ALLA LIBERTÀ è non alla schiavitù (lavoro).

L’idea deve essere chiara. Bisogna capire che quello che crediamo che stiamo facendo (nascere, crescere, studiare, lavorare, famiglia, figli, case, macchine, viaggi, pensione per chi ci arriva ecc) per l’attuale metodo non ci sta arricchendo, ma impoverendo. Consumando per l’esattezza. Potremmo parlare di come 11 milioni di italiani fanno uso di psicofarmaci, di come il gioco d’azzardo fattura 95 miliardi di euro all’anno, della relativa dipendenza, dei casi di bullismo, dei vaccini, della politica, dei finti governi, della povertà nel mondo ecc ecc ma sarebbe inutile. Bisogna capire che il cambiamento lo determina la conoscenza che abbiamo di quello che crediamo che sia la vita. E dato che la maggior parte di noi ha una idea limitata dalla cultura di provenienza, per non parlare delle convinzioni o credenze, limita la sua vita a pochi insani modelli. Ma se entriamo in profondità, ci possiamo accorgere che di questi pochi modelli nessuno è veramente autentico. Sono prodotti venduti su un banco. Quella della “frutta” per l’esattezza.

Quindi, sulla base di quale conoscenza prendiamo le nostre decisioni? Sulla base di quelle ereditate e raccontate, tramandate e imposte da chi ha vissuto prima di noi? Come facciamo a sapere che sia tutta la verità che possiamo conoscere? È ovvio che già da questo punto di vista le cose possono cambiare notevolmente perché possono aiutarci ad aprire gli occhi, che in realtà, significa aprire il cuore e smettere di avere paura. Bisogna aprirsi alla conoscenza, alla scoperta, alla ricerca.

IMPORTANTE!! QUESTA E’ IGNORANZA PER AZIONE RIFLESSA.

“Affinché il controllo delle convinzioni e dei comportamenti umani sia efficace, è fondamentale controllare la percezione di ciò che è possibile o meno. Sopprimendo le informazioni si dà alla gente una versione distorta di ciò che è possibile, quindi si manipola la loro percezione del possibile”.

La paura è paragonabile alle frustate che venivano inflitte agli schiavi per lavorare di più. E così attualmente riceviamo frustate dai nostri capi, dai nostri genitori, dai nostri rivali, anche dalle persone che dicono di amarci. Oggi, questo esercizio del potere della paura, è talmente tanto radicato che lo esercitiamo anche noi, a volte, senza esserne consapevoli. Per il resto viene esercitato pubblicamente dai mezzi di comunicazione e informazioni di massa. La differenza rispetto ad un passato è che le “frustate” di oggi non si sentono sul corpo, non si vedono, ma le possiamo avvertire bene dentro di noi. Si chiamano le ferite dell’anima.

Siamo passati da un modello di schiavitù centrato sulla violenza fisica ad uno che si basa sulla violenza e manipolazione psicologica.

È possibile vivere senza lavorare ma per farlo bisogna smettere di avere paura di “morire”. Bisogna smettere di avere paura e iniziare a vivere. In che modo? Facendo delle scelte, un po’ coraggiose, un po’ studiate, ma soprattutto un po’ folli (creative per intenderci). Dettate soprattutto dal cuore.

Se è vero che la natura ci offre già tutto quello di cui potremmo aver bisogno, non dobbiamo aver paura. Il punto è, come mai abbiamo sempre di bisogno di qualcosa? Dipende dalla strumentalizzazione esercitata da questo modello di vita che fa nascere in noi quelli che si chiamano I FALSI BISOGNI.

Potremmo proseguire all’infinito ma voglio concludere questo articolo, ricordando l’appuntamento del 27 di luglio (evento di presentazione Accademia del Cuore), augurandomi di aver fatto, almeno sino ad ora, “cosa cara e gradita” soprattutto a quanti in questo momento lottano ogni giorno per “sopravvivere” potendo sperare su di un vero posto di lavoro (miraggio). Siamo di fronte ad un ribaltamento del paradigma (modello, stato sociale) che ci sta spingendo a ridefinire i VERI VALORI. In questo ribaltamento stiamo trasmutando (evolvendo) in una specie umana più sensibile e cosciente che proteggerà e tutelerà di più la vita. Ritorneremo alle origine conservando del passato l’intelligenza acquisita che ci aiuterà a costruire e lasciare in eredità ai nostri figli, non più debiti e sensi di colpa, ma bensì gratitudine, amore, gioia e speranza.

E’ possibile vivere senza lavorare ma dobbiamo smettere di usarci e di sfruttarci. Dobbiamo smettere di avere paura, dobbiamo, liberarci e la libertà ce la darà la conoscenza, la verità e l’amore.

Daniele Andrea Pulciani

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