IL MONDO DEL LAVORO E LA NUOVA TRATTA DEGLI SCHIAVI

Vi ricordate gli schiavi che costruivano le piramidi? Gli schiavi nei campi di cotone? E gli schiavi nell’antica Roma quelli che avevano mansioni domestiche, che intrattenevano cantando e ballando? Soprattutto durante l’impero romano nelle professioni specializzate erano presenti molti schiavi: mimi e cantori, artigiani, architetti, atleti, contabili, intellettuali (filosofi, poeti, storici, eruditi in genere). Tra le mansioni di medio livello vi era la cura estetica ed il benessere fisico della persona. Esistevano quindi: addetti al bagno, manicure e pedicure, massaggiatori, prostitute, truccatrici, guardarobieri con il compito di aiutare ad indossare la toga, la palla, ecc. Erano spesso incaricati di compiere funzioni di maggiordomo, ricevevano gli invitati, raccoglievano la toga ed i calzari, preparavano il bagno caldo, insaponavano, risciacquavano ed asciugavano i padroni, e spesso lavavano loro i piedi. Si trattava per lo più di schiavi provenienti dall’Egitto e dall’Oriente civilizzato.

In lingua latina schiavo si diceva servus oppure ancillus. Il titolare del diritto di proprietà sullo schiavo era detto dominus. Si ha notizia anche di schiavi posseduti da altri schiavi: in questo caso, formalmente, il primo schiavo (detto ordinarius) non era proprietà dell’altro (detto vicarius), ma faceva parte del suo peculium, l’insieme di beni che il dominus gli concedeva di tenere per sé. (Wikipedia)

Vi dice niente tutto questo? Che sinologie potremmo trovare tra le varie mansioni che svolgevano gli schiavi e la nostra attuale condizione del “mercato” del lavoro e della vita quotidiana?

IL CONCETTO DI SCHIAVITU’ MODERNA

Siamo schiavi delle abitudini, delle consuetudini, dell’ignoranza, siamo schiavi dell’ipocrisia, dell’indifferenza, dell’uso e dell’abuso del prossimo. Siamo schiavi della droga, del lusso, del sesso, del gioco d’azzardo, del calcio, dello spreco. Siamo schiavi delle nostre emozioni. Siamo schiavi di forme di pensiero corrotte e senza etica. Siamo schiavi delle nostre paure, dei nostri limiti. Siamo servi della gleba.

Il concetto di schiavitù moderna nel XXI secolo ha dei risvolti in ogni attività della vita quotidiana e lavorativa,solo che la chiamiamo civiltà senza che ci sia nessuna consapevolezza dello stato di schiavitù intellettuale e morale di cui siamo schiavi.

Il punto è questo: “Noi non siamo liberi e le nostre vite non sono di nostra proprietà”. A dimostrarlo sono due dei più importanti poteri che vengono esercitati su di noi. Il potere temporale (esercitato dallo Stato) e il potere spirituale (esercitato dalla Chiesa). Siamo schiavi di un modello sociale e culturale che ci vede sedotti a credere vero ciò che è falso e falso ciò che è vero. Non siamo pagati per le nostre capacità e per il nostro valore umano. Se lo fossimo, non ci sarebbe prezzo, ma dato che nessuno di noi può dichiararsi ad uno stato di eccellenza, nelle qualità umane, nelle abilità, nella creatività, nell’inventiva, veniamo “pagati” per quello che siamo. E dato che siamo il prodotto dell’attuale sistema educativo, al massimo dell’istruzione che abbiamo potuto ricevere, le capacità sviluppate hanno determinato l’attuale “prezzo” di mercato. Il prezzo che incassiamo dal nostro lavoro è proporzionato a ciò che siamo capaci di realizzare e creare.

Se ci pensate gli artisti, i cantanti, ma anche i registi, gli scrittori di successo, chi è nel mondo dell’arte e della libera espressione di se stessi, che ha raggiunto la propria eccellenza, viene profumatamente pagato, ma non per il suo tempo. Viene pagato per ciò che realizza, che vuol dire, per ciò che sa creare. Il 90% della popolazione mondiale è dentro uno stato di schiavitù globale e viene retribuita, con quella che crediamo essere una moneta, ma in realtà è solo carta senza alcun valore, per il suo tempo. Ecco perché i contratti sono a “tempo determinato e/o indeterminato”, contratti a termine, a progetto, stage di 3 mesi ecc.  Solo il 10% della popolazione mondiale crea sempre qualcosa di nuovo che poi viene comprato da chi nel frattempo sta servendo quel 10%.

Dobbiamo iniziare a capire che questo non è lavorare. Non è vivere.

Visto l’attuale situazione socio economica, culturale e politica, la maggior parte di noi in questo momento non compie un lavoro con il quale crea qualcosa di nuovo, con il quale si sente realizzato, vive una vita felice e soddisfatta, ma serve (schiavo si diceva servus) qualcun altro, in questo caso un sistema, un datore di lavoro, una azienda, una città, una regione, un governo nell’esercizio della sua impresa e dato che questa situazione ci vede quasi alla “fame”, stremati e in condizioni disumane nel rispetto delle risorse umane, con condizioni di lavoro e sociali in cui abbiamo perso la nostra dignità e proprietà privata, passiamo l’80% del nostro tempo a produrre qualcosa che verrà consumato da noi stessi e dagli altri, orari e salari di lavoro sempre più compromessi dall’aumento del costo della vita, per non parlare di chi è in cerca di un impiego. È chiaro che quello che pensiamo che sia il mondo del lavoro, meglio noto come “mercato” del lavoro, in realtà è una moderna quanto mai industrializzata, poco civile e “democratica” forma di tacita schiavitù. Cosa lo dimostra? Che pochi sono coloro che possono affermare di trarre vera e autentica soddisfazione dal proprio lavoro.

Non sto parlando di chi oggi “guadagna” bene o guadagna quello che è giusto, sto parlando di chi è veramente usato e sfruttato dal mondo del lavoro. Parlo di chi oggi, nel nostro paese, non avendo sviluppato sufficienti qualità o avendole sviluppate senza trovare collocazione, è schiavizzato dal sistema e arriva, nel migliore dei casi, a guadagnare tra gli 800 e i 1500 euro al mese; all’estero (Cina, Africa; Sud America) come sappiamo il valore è ben inferiore. Ma sto parlando anche di quella parte di umanità che non trova più lavoro. Il punto in questione però non è tanto quello della retribuzione, ma è il motivo per cui facciamo quello che facciamo. È capire perché siamo qui e stiamo facendo quello che facciamo che crediamo si chiami lavoro. Molti mi risponderanno che serve per guadagnare, perché grazie al denaro possiamo comprare il cibo, l’abbigliamento, pagare le bollette, la scuola e i libri ai figli, automobili, case, gioielli, cene al ristorante, film, sport e svago. E infatti, è proprio questo di cui dobbiamo parlare.

LA TERRA E’ LA PIU’ GRANDE MINIERA D’ORO DISPONIBILE NEL NOSTRO SISTEMA SOLARE.

Noi non lavoriamo per vivere, se fosse così le cose a livello educativo, sociale e culturale, di convivenza sociale, i rapporti e le condizioni di vita sarebbero migliori. Lavoriamo per spendere quello che guadagniamo così come vuole il mondo industrializzato. Siamo nell’area del consumismo sfrenato e per soddisfare i nostri (falsi) bisogni, i bisogni reali sono altri, molti di quelli che crediamo veri sono in realtà bisogni “artificialmente” indotti dal mondo delle pubblicità e della manipolazione di massa, arriviamo addirittura a indebitarci. Dobbiamo lavorare, guadagnare e spendere in un ciclo continuo sino alla nostra morte senza contare che tutte queste persone, sono milioni di milioni forse miliardi di persone (tolgo il forse), come vanno (umanamente) considerate? Come dei lavoratori o degli “schiavi” in quella che può essere considerata la più grande fabbrica del mondo? Per cosa poi esattamente se non per servire e svolgere sistematicamente un lavoro ripetitivo, fatte le dovute eccezione, di un modello di lavoro e di vita di tipo meccanicistico e speculativo?

Forse quello che molti ancora non hanno compreso è che noi veniamo già trattati come dei “robot” e rispetto al passato le cose non sono cambiate. Sono cambiate solo le modalità. Oggi rappresentiamo degli schiavi robotizzati e questo modello di lavoro basato sull’acquisto del nostro tempo a €4,60 l’ora per 9 ore al giorno per 6 volte a settimana per un totale di circa €1000 al mese (per i più fortunati) è uno stato di tacita schiavitù. Questo stato di schiavitù è tacita perché l’uomo non ha ancora trovato una valida alternativa e non ha sviluppato una corretta capacità di discernimento, di “ALTRA” sopravvivenza. Il mercato del lavoro è diventato il mercato degli schiavi in cui i “prodotti” migliori vengono venduti e comprati a caro prezzo mentre quelli che hanno qualche “imperfezione” viene svenduta o addirittura scartata o rigettata. Con uno spreco incredibile di risorse umane che, depresse, frustrate, insoddisfatte vengono gettate nella discarica dello stato sociale.

Ma come ci siamo arrivati sino questo punto? Come abbiamo fatto a creare una tale disparità di trattamento in cui è l’uomo a sfruttare l’uomo? E soprattutto, cosa possiamo fare per invertire la rotta? Per aiutare chi è in difficoltà?

I FATTORI CHE HANNO INCISO.

1) Il primo è il sistema educativo (scuole e università) che hanno da sempre fornito una formazione standardizzata su modelli educati e formativi tipici di uno stato sociale industrializzato. Tutti medici. Tutti avvocati. Tutti ingegneri. Tutti psicologici. Tutti economisti. Tutti comunicatori. Tutti insegnanti. Tutti linguisti ecc. Salvo qualche rarissima eccezione.

2) Il secondo è l’accelerazione del progresso tecnologico e il cambiamento del mondo del lavoro, che nel frattempo si passavano 5 0 10 anni a studiare all’università, il mercato del lavoro cambiava e iniziava ad essere saturo e l’ingresso delle tecnologie ha sostituito molte mansioni. È così, di quelle grandiose università e istituzioni che hanno fornito modelli educativi stabiliti da un “mondo” del lavoro in cui i modelli richiesti erano come i modelli automobilistici, sembra di fatto che siamo fatti in serie, nel frattempo lo stesso si evolveva sino all’orlo del collasso, dell’esaurimento fisiologico, della saturazione. Siamo alla fine dei giochi, al capolinea, e non abbiamo ancora ridefinito modelli educativi di nuova frontiera basati sui nuovi paradigmi e sul nuovo modo di vivere e lavorare che ci sarà in futuro.

A dimostralo ci sono migliaia di giovani che non fanno in tempo a finire gli studi che il mondo del lavoro è già cambiato.

Come si fa pertanto a coprire quel gap temporale tra la velocità di cambiamento del mondo del lavoro e i tempi di preparazione degli studenti? Come facciamo a collocare una forza di lavoro in esubero e continua crescita?

Da una parte bisogna fornire un modello educativo che ridefinisca il modello vita, dall’altra che sia tanto veloce tanto quanto il cambiamento del mercato del lavoro o le sue nuove opportunità. Ma prima dobbiamo rieducarci a livello umano, di coscienza e conoscenza.

Bisogna fornire un modello educativo di nuova generazione che fondi la sua metodologia sull’ autoapprendimento costante e continuativo non più basato sullo studio di materie che nel tempo di apprenderle sono diventate vecchie. Cosa ce ne facciamo di quelle scuole e università che preparano alle varie professioni se poi il mercato del lavoro non accetta più quei tipi di lavoro o se li rigetta per esaurimento posti o, se li accetta, sono sotto pagati, maltrattati e “malnutriti”? Penso a quanti neo laureati avvocati, economisti, medici, infermieri, psicologici, ingegneri (forse sono gli unici che si salvano) stanno cercando collocazione in un mercato del lavoro completamente saturo. Qui ci aggiungerei anche la nuova figura professionale che sta nascendo “I turisti per caso”.

UNA POSSIBILE SOLUZIONE. IL NUOVO MODELLO EDUCATIVO.

Educare alla libertà. Educare alla creatività. Educare alla verità.

La rivoluzione del cuore.

La forza sarà nelle idee. La rivoluzione sarà nelle nuove idee, sarà nelle nuove visioni, sarà nelle parole, sarà nel cuore. Ognuno di noi è chiamato a vivere una trasformazione permanente personale e continua. Siamo chiamati ad affrontare le nostre maschere, le nostre ipocrisie, i nostri limiti e le nostre paure. Le nostre modalità egoiche. La rivoluzione è culturale, è nell’educazione, nella conoscenza, nella libertà e nella ricerca della verità.

Questa non è una rivoluzione in stile ottocentesco. Non è una rivoluzione che si combatterà con armi e forconi. È una rivoluzione pacifica, culturale, democratica, gioiosa, allegra, permanente ricca di entusiasmo, di coraggio, di voglia di cambiamento. È una rivoluzione del pensiero, del modo di “pensare” e questo pensare ha a che fare con il “sentire”, con i sentimenti. Con il cuore. È la rivoluzione del cuore.

L’etica determinerà la nuova frontiera dell’educazione e questa rivoluzione (cambiamento) va spiegato, va affrontato con calma, con fiducia, con ascolto. Stiamo parlando di ridefinire nuovi paradigmi di vita legati soprattutto ai VALORI DEL CUORE. Tutto dipenderà dalla preparazione e dalla formazione delle risorse umane. Per sopravvivere servono lezioni di “altra” sopravvivenza. Siamo chiamati a rieducarci per rieducare e non solo per noi e per i nostri figli, per l’intera specie umana. Se è vero che il modello di vita che oggi viviamo ci tiene in vita grazie al lavoro, è dal lavoro che possiamo avere quel denaro che ci permette di “vivere” e il lavoro non c’è più o è limitato nelle sue opportunità o peggio ancora come sta accadendo non siamo stati preparati al nuovo mondo del lavoro, dobbiamo imparare a vivere “senza” lavorare che significa cambiare il modo di vivere ridefinendo i nostri reali bisogni. Vivere senza lavorare vuol dire intanto imparare a (sopra) vivere senza un lavoro fisso e senza la certezza del denaro, imparando dalle avversità e dalle difficoltà a ridefinire il nostro stile di vita. Ma significa anche ridurre le nostre spese e ricerca nuove forme di lavoro e se non siamo in grado di ottenerlo se non attraverso forme di sostegno sociale (vedi il reddito di cittadinanza), siamo chiamati a ridefinire il modello di vita ridefinendo i nostri comportamenti e, soprattutto, i consumi. Dobbiamo imparare a vivere ridefinendo i nostri reali bisogni da quelli in eccesso e speculativi.

Nessuno morirà di fame in un paese come l’Italia questo deve essere chiaro. Ad essere toccata qui è piuttosto la nostra dignità, il nostro diritto al lavoro. Quello che però sta accadendo ci sta spingendo a ridefinire un modello di vita che se fossimo tutti con un lavoro e con i soldi in tasca, continueremmo a compiere le stesse azioni che compiamo ora e non ci sarebbe nessun cambiamento. Nessun ridimensionamento e dato che questo è finalizzato a ridimensionare i nostri eccessi e i nostri sprechi, la vita ci porta all’interno della crisi per risvegliare in noi nuove idee e nuove visioni. Albert Einstein lo ha affermato in maniera chiara:

“Non possiamo far finta che le cose cambieranno se continuiamo a fare le stesse cose. Una crisi può essere una vera benedizione per qualsiasi persona, per qualsiasi nazione, perché tutte le crisi portano progresso. La creatività nasce dall’angoscia proprio come il giorno nasce dalla notte buia. È nella crisi che nascono l’inventiva, le scoperte e le grandi strategie. Chi supera una crisi supera se stesso, restando insuperato. Chi incolpa una crisi dei propri fallimenti disprezza il suo talento ed è più interessato ai problemi che alle soluzioni. L’incompetenza è la vera crisi. Il più grande svantaggio delle persone e delle nazioni è la pigrizia con la quale tentano di trovare le soluzioni dei loro problemi. Senza una crisi non c’è sfida. Senza sfide, la vita diventa una routine, una lenta agonia. Non c’è merito senza crisi. È nella crisi che possiamo realmente mostrare il meglio di noi. Senza una crisi, qualsiasi pressione diventa un tocco leggero. Parlare di una crisi significa propiziarla. Non parlarne è esaltare il conformismo. Lavoriamo duro, invece. Facciamola finita una volta per sempre con l’aspetto davvero tragico della crisi: il non voler lottare per superarla”.

Per superare questa crisi siamo chiamati a rieducarci per rieducare ed educare le future generazioni, partendo naturalmente da noi stessi e con una sostanziale differenza di fondo. L’uomo, l’essere umano, non va più solo considerato un uomo. Deve essere visto come un Anima, essere aiutato a liberarsi dalle false illusioni di un modello di vita che ha finito il suo ciclo, va aiutato a conoscere se stesso, reso più consapevole della propria potenzialità, qualità e responsabilità.

Questo lavoro è impellente e caratterizzerà tutto il prossimo cinquantennio. 50 anni di profonda trasformazione. In questo percorso l’uomo riscoprirà il valore dell’amore inteso come strumento di elevazione etica, morale, spirituale, filosofica, politica ed economica. I valori del cuore saranno la nuova frontiera del pensiero comune che regolerà le nostre scelte, decisioni, condotte e azioni e questa nuova educazione salverà milioni di persone dalla disperazione della mancanza di lavoro, ci aiuterà a sopravvivere attraversando condizione avverse, impareremo a vivere ridefinendo il modo di lavorare, ed eviterà ulteriori suicidi di massa.

Ma soprattutto, libererà l’uomo dalle catene della schiavitù globale.

Vi lascio con le parole di Osho:

“Voi potreste essere l’ultima generazione a cui ancora è possibile ribellarsi Se non vi ribellate potrebbero non esserci più opportunità. L’umanità potrebbe essere ridotta allo stato di robot. Quindi ribellatevi finchè c’è ancora tempo”.

Daniele Andrea Pulciani

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